lunedì 26 agosto 2013

Remembering India

Sei anni e mezzo fa sono stata in India per dodici giorni.
Mio padre molto spesso viaggia per lavoro e quella volta ebbi la fortuna di seguirlo.
Con una media di un volo interno ogni due giorni, ho avuto l’opportunità di vedere tantissimi posti, dal sud all’ovest al nord.
Ho ancora negli occhi e nel naso le forti e meravigliose complessità di un paese che ha cambiato la mia prospettiva di vita, e desidero tornare al più presto. Ma non è questo il punto, adesso.

Nei giorni in cui mio padre doveva lavorare, mi affidava a un autista privato che mi portasse in giro a farmi vedere la città e il posto in cui eravamo in quel momento. A volte mi accompagnava anche un’altra donna – una collega, o una parente di amici di mio padre – e certo questa era la situazione più consigliabile, secondo i loro standard, per visitare i luoghi.
Più spesso, però, eravamo solo io e l’autista, che mi chiedeva dove volessi essere portata, come se fossi una vecchia signora inglese sulla diligenza.

Io ero timida, e il mio inglese non era molto fluente, quindi forse non ho approfittato come avrei potuto di quei momenti di solitudine e scambio forzato con una persona rigorosamente del posto. Ma non è questo il punto.

Il punto è che ricordo un momento particolare di condivisione vera con una di queste meravigliose persone (meravigliose, perché sentivi dentro di loro un’energia del tutto particolare).
Ero a Chennai, metropoli caotica del sud-est indiano, un posto sul mare ma molto poco turistico. La mia guida Lonely Planet non diceva molto sulle cose da visitare; io volevo vedere il mare e la spiaggia ma lui saggiamente e gentilmente mi disse: non fa troppo caldo, Lady?
Io che di solito ribatto sempre e voglio avere ragione su tutto, detti semplicemente ragione a questo sconosciuto dall’inglese cantilenante, e per quella giornata mi affidai a lui. Va bene, allora portami dove credi.

Non ricordo quanto tempo passammo nel traffico – sicuramente tanto, come sempre – ma infine arrivammo a un tempio indù. Ne avevo già visti tanti, anche di più belli e più grandi. Ma lui mi invitò a entrare. Insieme.
E lì iniziò a spiegarmi tutto – sì, le cose le sapevo, le avevo già lette nella guida – ma ad ogni passo mi spiegò i loro rituali, intuendo perfettamente quali erano per me le cose più strane o quelle che non riuscivo a capire.

E a un certo punto fece una cosa che non dimenticherò mai.
Mi disse: you see Lady? You pray like this (e giunse le mani incrociandole come fanno i cattolici), and we pray like this (con le mani giunte ma dritte). But it’s the same!

It’s the same. E’ lo stesso.
Hai ragione, sconosciuto indiano, noi cantiamo e voi offrite fiori, voi vi togliete le scarpe e noi ci copriamo le spalle, noi preghiamo e voi pregate. But it’s the same.

Dietro al tempio c’era anche una chiesa cristiana. Non me lo invento, lo giuro. Una chiesa cristiana bianca in ristrutturazione, con i paria che giravano semi-nudi con i mattoni in testa. Entrammo anche lì, insieme. Le icone dei Santi e della Madonna avevano pelle e tratti indiani, e gli avevano offerto fiori di loto – non me lo dimenticherò mai.

Alla fine della giornata mi riportò nell’albergo da mio padre e i suoi colleghi. Parlando durante il tragitto, capii che questo ragazzo era laureato, voleva fare l’ingegnere ma non trovando niente di meglio si adattava come autista.
Alla sera a cena mio padre e i suoi colleghi mi chiesero com’era andata la giornata. Scoprii che il mio “autista” era una persona che più o meno conoscevano, aveva già inviato il suo curriculum alla ditta o qualcosa del genere. Io lo lodai per tutto il tempo. Mi aveva fatto sentire bene, era una persona corretta e colta.

Questo ragazzo ha lavorato per due anni nella ditta dei colleghi di mio padre e poi gli è stato offerto un ottimo trasferimento, con famiglia a carico.

Non me lo invento, lo giuro.

Avere vent'anni e visitare un paese così pieno di contraddizioni. Di notte dormire nel lusso degli alberghi costosi e di giorno inondare il cuore di immagini di povertà, Viaggiare per chilometri e chilometri e incontrare persone dappertutto. Un miliardo e duecento milioni di vite.
E poi cammelli, mucche, capre, scimmie, elefanti, serpenti, in una società che vive e rispetta l'animale come parte normale della sua quotidianità.
Avere vent'anni e sapere che, in un posto del genere, prima o poi dovevo ritornare. 







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