sabato 31 agosto 2013

L'elefante nel salotto




Elefante nella stanza (en. Elephant in the room) è un'espressione tipica della lingua inglese per indicare una verità che, per quanto ovvia e appariscente, viene ignorata o minimizzata. L'idea alla base è che un elefante dentro una stanza sarebbe impossibile da ignorare; quindi, le persone all'interno della stanza fanno finta che questo non sia presente, evitando così di affrontare un problema più che palese.

Le famiglie borghesi sono bravissime nel fare finta che un animale immenso non sia in casa e non stia disturbando ogni singolo giorno.
Le famiglie borghesi fanno finta di niente, per salvare l'apparenza, perché è meglio così.
Sai quanto sarebbe indecente avere un problema così grande? Ignoriamolo, sicuramente un giorno ci dimenticheremo che esiste.

Io forse un giorno lo ucciderò (povero elefante, lo so che tu non c'entri niente)

lunedì 26 agosto 2013

Remembering India

Sei anni e mezzo fa sono stata in India per dodici giorni.
Mio padre molto spesso viaggia per lavoro e quella volta ebbi la fortuna di seguirlo.
Con una media di un volo interno ogni due giorni, ho avuto l’opportunità di vedere tantissimi posti, dal sud all’ovest al nord.
Ho ancora negli occhi e nel naso le forti e meravigliose complessità di un paese che ha cambiato la mia prospettiva di vita, e desidero tornare al più presto. Ma non è questo il punto, adesso.

Nei giorni in cui mio padre doveva lavorare, mi affidava a un autista privato che mi portasse in giro a farmi vedere la città e il posto in cui eravamo in quel momento. A volte mi accompagnava anche un’altra donna – una collega, o una parente di amici di mio padre – e certo questa era la situazione più consigliabile, secondo i loro standard, per visitare i luoghi.
Più spesso, però, eravamo solo io e l’autista, che mi chiedeva dove volessi essere portata, come se fossi una vecchia signora inglese sulla diligenza.

Io ero timida, e il mio inglese non era molto fluente, quindi forse non ho approfittato come avrei potuto di quei momenti di solitudine e scambio forzato con una persona rigorosamente del posto. Ma non è questo il punto.

Il punto è che ricordo un momento particolare di condivisione vera con una di queste meravigliose persone (meravigliose, perché sentivi dentro di loro un’energia del tutto particolare).
Ero a Chennai, metropoli caotica del sud-est indiano, un posto sul mare ma molto poco turistico. La mia guida Lonely Planet non diceva molto sulle cose da visitare; io volevo vedere il mare e la spiaggia ma lui saggiamente e gentilmente mi disse: non fa troppo caldo, Lady?
Io che di solito ribatto sempre e voglio avere ragione su tutto, detti semplicemente ragione a questo sconosciuto dall’inglese cantilenante, e per quella giornata mi affidai a lui. Va bene, allora portami dove credi.

Non ricordo quanto tempo passammo nel traffico – sicuramente tanto, come sempre – ma infine arrivammo a un tempio indù. Ne avevo già visti tanti, anche di più belli e più grandi. Ma lui mi invitò a entrare. Insieme.
E lì iniziò a spiegarmi tutto – sì, le cose le sapevo, le avevo già lette nella guida – ma ad ogni passo mi spiegò i loro rituali, intuendo perfettamente quali erano per me le cose più strane o quelle che non riuscivo a capire.

E a un certo punto fece una cosa che non dimenticherò mai.
Mi disse: you see Lady? You pray like this (e giunse le mani incrociandole come fanno i cattolici), and we pray like this (con le mani giunte ma dritte). But it’s the same!

It’s the same. E’ lo stesso.
Hai ragione, sconosciuto indiano, noi cantiamo e voi offrite fiori, voi vi togliete le scarpe e noi ci copriamo le spalle, noi preghiamo e voi pregate. But it’s the same.

Dietro al tempio c’era anche una chiesa cristiana. Non me lo invento, lo giuro. Una chiesa cristiana bianca in ristrutturazione, con i paria che giravano semi-nudi con i mattoni in testa. Entrammo anche lì, insieme. Le icone dei Santi e della Madonna avevano pelle e tratti indiani, e gli avevano offerto fiori di loto – non me lo dimenticherò mai.

Alla fine della giornata mi riportò nell’albergo da mio padre e i suoi colleghi. Parlando durante il tragitto, capii che questo ragazzo era laureato, voleva fare l’ingegnere ma non trovando niente di meglio si adattava come autista.
Alla sera a cena mio padre e i suoi colleghi mi chiesero com’era andata la giornata. Scoprii che il mio “autista” era una persona che più o meno conoscevano, aveva già inviato il suo curriculum alla ditta o qualcosa del genere. Io lo lodai per tutto il tempo. Mi aveva fatto sentire bene, era una persona corretta e colta.

Questo ragazzo ha lavorato per due anni nella ditta dei colleghi di mio padre e poi gli è stato offerto un ottimo trasferimento, con famiglia a carico.

Non me lo invento, lo giuro.

Avere vent'anni e visitare un paese così pieno di contraddizioni. Di notte dormire nel lusso degli alberghi costosi e di giorno inondare il cuore di immagini di povertà, Viaggiare per chilometri e chilometri e incontrare persone dappertutto. Un miliardo e duecento milioni di vite.
E poi cammelli, mucche, capre, scimmie, elefanti, serpenti, in una società che vive e rispetta l'animale come parte normale della sua quotidianità.
Avere vent'anni e sapere che, in un posto del genere, prima o poi dovevo ritornare. 







sabato 24 agosto 2013

Όσο μπορείς (per quanto sta in te)

E se non puoi la vita che desideri
cerca almeno questo
per quanto sta in te: non sciuparla
nel troppo commercio con la gente
con troppe parole in un viavai frenetico.

Non sciuparla portandola in giro
in balìa del quotidiano
gioco balordo degli incontri
e degli inviti,
fino a farne una stucchevole estranea.

Konstantinos Kavafis

Όσο μπορείς

Κι αν δεν μπορείς να κάμεις την ζωή σου όπως την θέλεις,
τούτο προσπάθησε τουλάχιστον
όσο μπορείς: μην την εξευτελίζεις
μες στην πολλή συνάφεια του κόσμου,
μες στες πολλές κινήσεις κι ομιλίες.
Μην την εξευτελίζεις πηαίνοντάς την,
γυρίζοντας συχνά κ' εκθέτοντάς την
στων σχέσεων και των συναναστροφών
την καθημερινήν ανοησία,
ως που να γίνει σα μια ξένη φορτική.
[1913]

[riflessioni di un venerdì sera solitario d'agosto]

lunedì 19 agosto 2013

§

Tu dà amore,
forse riceverai amore.

Tu dà sorrisi,
forse riceverai sorrisi.

Tu dà bellezza e calore,
forse riceverai lo stesso dono.

Vorrei abbandonarmi al flusso della vita e lasciarla fare.
Che mi porti lei, dov'è il mio destino.
Che mi guidi lei, in giro per il mio cammino.

In questo momento ho paura - è vero, e lo accetto.

In questo momento sono fragile - è vero, e lo accetto.

Ma tutto scorre e niente è eterno.
Tutto ha un senso e tutto serve (mi sa di sì).

E biasimarsi non fa stare meglio.

Distribuisci amore.
Distribuisci sincerità.
Distribuisci vita, Erica.

Ricorda: la felicità non è mai stupida. 

venerdì 9 agosto 2013

Valigia time

E' di nuovo il momento di fare la valigia.
Domani si va all'Est, che non ho mai visto.
Domani si va.

Non ho ancora capito se il viaggio per me è una droga o una cura. In ogni caso, so che mi fa stare bene. Perchè...

Cosa ci sia di meglio di un viaggio, io non lo so. La naturale felicità di lasciare casa e partire, sentire il rollio del motore di un aereo, lo sferragliare di un treno, il suono di una nuova lingua. Cosa ci sia di meglio, per curare tutti i mali, dell'attesa dolce o snervante di una nuova meta, io davvero non lo so. 
Viaggiare è una questione di fortuna (e io fortunata lo sono) ma anche di scelte, di molte cene fuori in meno e qualche giorno in più via di casa, di guidare in autostrada alle 3 del mattino per prendere un volo all'alba a Linate, di lasciare indietro le cose che sono da fare, a volte di non sapere come si tornerà. 
Un viaggio può andare molto bene o molto male.  Ma non ti lascerà mai indifferente.
Non me, 
indifferente, 
mai.

2013, for the moment.


giovedì 8 agosto 2013

Lessico della cosiddetta diversità.

Visto che continuiamo sul filone delle relazioni umane, parliamo anche degli amori "diversi".

Credo sia necessario stabilire un dizionario chiaro e reale, prima di tutto.

Frocio non lo puoi dire.

Finocchio, nemmeno.

Lesbica può essere duro e spregiativo, anche se non ti sembra.

Checca e Lella possono essere scherzosi e soft. Ma occhio.

Non mi soffermo nemmeno su tutte quelle parole che si riferiscono più o meno esplicitamente ai genitali. Sono parolacce, non c'è molto da dire.

"Ah, quindi cosa posso dire?"

Gay.
Omosessuale.
Bisessuale.

Finchè ognuna di queste parole neutre non sarà pienamente e totalmente accettata dalla società in cui vivi, finchè anche la parola più neutra  e "innocente" farà rabbrividire qualcuno, non puoi permetterti di giocare con le parole borderline.

Quello che per te è un gioco innocente, quella che per te è solo una parola che fa ridere gli amici, per qualcuno è stato magari un insulto, un'offesa, uno sputo metaforico.

La tolleranza (prima) e la comprensione (poi) passano attraverso piccole cose.

Credo che l'attenzione al linguaggio sia uno dei primi grandi/piccoli segnali.


Boys don't cry - The Cure


giovedì 1 agosto 2013

...non come quando ragiono, ma come quando respiro.

Questo blog, alla fine, parla spesso di amore.
Si sa, troppo spesso ci si concentra più sulle cose che mancano che su quelle che abbiamo già.
Parla d'amore, ma ho imparato che amare ha milioni di significati e sfumature.
Non è affatto una parola univoca, non si riferisce affatto a un rapporto univoco.

Ho trovato per caso questa poesia-canzone di Gaber.
Gaber che ha cantato di tutto, ha parlato di tutto, e quasi alla fine della sua vita ancora non era capace di amare.
O forse, sì, chissà, e come tutti gli ottimi artisti, ha solo voluto lasciarci alcune parole in cui potessimo identificarci.

GRAZIE.

Quando sarò capace d'amare probabilmente non avrò bisogno di assassinare in segreto mio padre né di far l'amore con mia madre in sogno.
Quando sarò capace d'amare con la mia donna non avrò nemmeno la prepotenza e la fragilità di un uomo bambino.
Quando sarò capace d'amare vorrò una donna che ci sia davvero che non affolli la mia esistenza ma non mi stia lontana neanche col pensiero.
Vorrò una donna che se io accarezzo una poltrona, un libro o una rosa lei avrebbe voglia di essere solo quella cosa.
Quando sarò capace d'amare vorrò una donna che non cambi mai ma dalle grandi alle piccole cose tutto avrà un senso perché esiste lei.
Potrò guardare dentro al suo cuore e avvicinarmi al suo mistero non come quando io ragiono ma come quando respiro.
Quando sarò capace d'amare farò l'amore come mi viene senza la smania di dimostrare senza chiedere mai se siamo stati bene.
E nel silenzio delle notti con gli occhi stanchi e l'animo gioioso percepire che anche il sonno è vita e non riposo.
Quando sarò capace d'amare mi piacerebbe un amore che non avesse alcun appuntamento col dovere
un amore senza sensi di colpa senza alcun rimorso egoista e naturale come un fiume che fa il suo corso.
Senza cattive o buone azioni senza altre strane deviazioni che se anche il fiume le potesse avere andrebbe sempre al mare.
Così vorrei amare.