sabato 23 novembre 2013

Vedrai, vedrai...

Come diceva Luigi Tenco:

"Perchè scrivi solo cose tristi?"
"Perchè quando sono felice esco".

Esco un po', people.
Ho voglia di essere felice.
Scriverò quando saprò di nuovo trovare le parole per descrivere la cose belle.

Esco un po', people.

Little Erica

domenica 17 novembre 2013

"Un anno di..." - Testamento per rinascere e avviarsi alla versione 2.0

Intro

La notte del 30 ottobre del 2012 mi trovavo sulla panchina fuori dalla mia casa spagnola, a parlare con il mio compañero di sempre, dei nostri progetti e del nostro futuro. I mesi di volontariato erano agli sgoccioli, io ero materialmente (ma non mentalmente) pronta per tornare in Italia. Lui mi chiese se davvero volevo finire gli studi. 
"Sì, ci proverò"
"Ma quanto ti manca?"
"Sei esami e una tesi di circa 100 pagine"
“Quindi un anno” - mi disse.

Un anno. In quel momento mi resi conto del tempo davanti a me, che mi schiacciava e mi impauriva.
Un anno. Dodici mesi prima di potermi dire di nuovo libera e inseguire i miei sogni.
“Ma davvero, così tanto? E’ troppo, vedremo cosa accadrà”.

365 e più giorni dopo, ho dato i 6 esami, la tesi è di 140 pagine e il compañero non c’è più.
Ma io ho imparato che il tempo è relativo, che i mesi a volte scorrono tutti uguali e velocissimi, e che poi capita una settimana che vale mezza vita.
Ho imparato che si possono ritrovare amicizie vecchissime come se fossero cristallizzate nel tempo e che basta un minuto per chiudere per sempre con qualcuno.
Ho imparato anche che io non controllo niente, che tutto capita quando mi deve capitare e che devo anche sapermi abbandonare.

Ho imparato che mi posso perdonare.

365 giorni e più giorni dopo, ho imparato tante di quelle cose…
Ma soprattutto, ho imparato che devo continuare ad imparare.

Il mio anno di ricerca adesso è scritto qui. Nero su bianco. Pubblico perché dev’essere così. Perché solo dall’ultima confessione posso purificarmi davvero. Non cancellare, ma chiudere. Non eliminare, ma sciogliere.

Un anno di.

Il ritorno. La fine di una grande storia d’amore. L’illusione (in)consapevole su una persona lontana. Il vuoto intorno perenne e presente. Le tante serate in casa a studiare, i weekend solitari, le notti agitate – perché ti svegliavi di soprassalto e non sapevi dov’eri.

Il cambio di casa, i viaggi in cerca di qualcosa, l’abbandono dei gatti, dei mobili e delle tue certezze (quanto è facile distruggere e com’è difficile ricostruire).

Un senso di colpa che ti pugnala al cuore.
I sorrisi sempre e comunque, il lavoro – quel lavoro incerto e precario, che chiede molto e dà poco in cambio, che ti costringe a svegliarti anche se per poche ore.

Quei bambini che da anni mi salvano la vita.

La tesi. Le ansie per i primi libri da cercare, gli ultimi esami dati da sola senza le compagne di università. Da sola a districarti tra i documenti della domanda di laurea e svegliarti alle 6 per mettere a posto il capitolo 1,2,3.

Scegliere le tende, il colore della camera e la nuova poltrona. Solo per te.

Scrivere ogni giorno un diario reggiano che vorresti finire, come chi deve scaricare le latrine.

Scrivere agli amici lontani per mantenerli vicini.

Spargere tutto l’amore che sei in grado di dare e non ricevere in cambio nemmeno una persona reale.

Ascoltare una musica di sottofondo che ti accompagna sordamente. Pensare che non ce la farai mai, ma non con la superficialità di chi lo dice e poi non lo fa. Credere davvero che fallirai.

Piangere tanto, forte e a singhiozzi. Ma fare finta di niente per non allarmare la gente.

E le camminate lunghissime in mezzo al verde. I pensieri che si annullano nel niente.

Lo yoga, la piscina, il softball e la bicicletta, per scuotere il corpo, dare una specie di via retta.

L’estate di impegni da esaurimento nervoso, fronteggiare le delusioni di un futuro nascosto, sognare e invaghirsi dei propri sogni.

Il compleanno a sorpresa più strano che ci sia, lo shock di chi ti sveglia e ti fa capire che non vuoi andare via.

Raccogliere di nuovo tutti i pezzetti del puzzle e rimettersi ferocemente al lavoro.

E poi scrivere le conclusioni e sentirsi felici.

Da qualche parte, sentirsi guariti.

Il mio anno di ricerca è una prova che ho superato, il cammino di un alpinista un po’ scemo che alla fine arriva prima di tutti. Volevo svegliarmi un giorno ed avere la soluzione in una mano e la felicità nell’altra. In realtà non ho raggiunto nessuna verità, continuo a non capire ma dev’essere giusto così.

Sono felice quando devo esserlo e triste nei momenti in cui la vita è inevitabilmente una merda. Oscillo e oscillerò come sempre, come facciamo tutti, come è naturale che sia.

Ma quello che cambia, è la serenità di fondo che mi accompagna. Si è installato da qualche parte nel mio essere uno strato molle e piacevole di perfetta serenità. 
Di forza, perché sopravvivrò. 
Di dolcezza, perché amerò.

Di nuovo.

Ho raggiunto il mio obiettivo e l’unica cosa che sono riuscita a fare è stata correre a casa a piangere tra le risate, condividendo con me e solo con me – come è giusto che sia – quel momento di dolorosa soddisfazione.

Ho raggiunto il mio obiettivo e ho dimostrato a me stessa il contrario di qualcosa.

Ho dimostrato che non sono nulla. Che non sono niente. E che proprio questo vuoto, finalmente, mi riempie. 


domenica 10 novembre 2013

Memorias del olvido

Me pasaron tantas cosas
y no me acuerdo de nada
solo del viento y tus ojos
de llorar a carcajadas.

No se cuanto habrá pasado
desde cuando te leía
nunca quise darme cuenta
que no era idea mía.

Hoy no es que rompa cadenas
solo me doy por vencido
y te perdono por todo
por venir y haberte ido.

Si la pena se supera
a mi me importa muy poco
no esperaba que así fuera mi amor
si aun sueño que te toco.

No se dé un tiempo a esta parte
no entiendo como pude desarmarme

Me sobraron tantas cosas
que no pude darte a tiempo
o tal vez nunca exististe
fuiste mi mejor invento.

Hoy mis ojos no te ven
hoy mi boca no te nombra
nadie sabe que me hiciste mi amor
solo mi cuerpo y tu sombra.

No se de un tiempo a esta parte
no entiendo como pude desarmarme
no se de un tiempo a esta parte
no entiendo como pude desarmarme
y como termino.

No te va a gustar - Memorias del Olvido 




Mi sono successe tante cose
E non ricordo niente
Solo il vento e i tuoi occhi
Da piangere a fiotti

Non so quanto sarà passato
Da quando ti leggevo
Non ho mai voluto rendermi conto
Che non eri un’idea mia

Oggi, non è che rompo le catene
E’ solo che mi do per vinto
E ti perdono per tutto
Per venire ed essertene andato

Se il dolore si supera
A me importa molto poco
Non mi aspettavo che fosse così amore mio
Se ancora sogno di toccarti

Non so, da un po' di tempo
Non capisco come ho potuto disarmarmi

Mi sono rimaste tante cose
Che non ho fatto in tempo a darti
O magari non sei mai esistito
Sei stato la mia migliore invenzione.

Oggi i miei occhi non ti vedono
Oggi la mia bocca non ti nomina
Nessuno sa quello che mi hai fatto amore mio
Solo il mio corpo e la tua ombra

Non so, da un po' di tempo
Non capisco come ho potuto disarmarmi
Non so, da un po' di tempo 
Non capisco come ho potuto disarmarmi
E come finì.

venerdì 1 novembre 2013

Dall'alto dei vent'anni

Nota introduttiva personale: in questo periodo sto consegnando una tesi di laurea sudatissima (non perché sia il lavoro più bello del mondo, ma per tutti gli strascichi emotivi che sono stata capace di attaccarci. E vabbé). Passando tanto tempo al computer a scrivere tecnicismi, fatico a trovare il tempo per me, la mia scrittura e questo blog a cui mi sto piano piano affezionando.
Quindi, visto che ho il malsano vizio di rileggere regolarmente i miei scritti del passato, ho deciso di dare un po' di luce all'Erica ventenne (ri)proponendo una cosa che in fondo non era così male.


Dall'alto dei tuoi vent'anni, quando vivi in un'altra città, studi letteratura e sei pieno di sogni.



Nota introduttiva meno personale: qualcuno mi ha detto che un blog è un modo costruttivo per parlare con se stessi. Sono d'accordo. Ma questa modalità così auto-referenziale ormai ha i giorni contati. 

The times they are a-chagin'.

7/10/06


Penso che la felicità non abbia un colore sgargiante, squillante, penso che non sia passionalmente rossa, pacchianamente gialla, sordidamente verde; la felicità dovrebbe essere, se non sbaglio, un pezzo d’ambra, trasparente, pacato, traslucido. Non è una sensazione, nè una risata ma un fossile, il fossile dentro l’ambra.

E l’amicizia è un gesto più che una parola, è silenziosa e discreta, la mia amicizia, e si basa sull’esclusività: tu sei unica, tu sei un pezzo nel puzzle delle mie personalità, e solo tu puoi capire questo. Tieni, a te io do questo e solo a te, perché tu lo tenga; vieni, con te e solo con te stasera io voglio stare.

Tu mi conosci, mi accetti e forse mi capisci; non ho bisogno di parlare di me, non ho bisogno di spiegarti il perché delle cose di prima ma solo, eventualmente, di quelle presenti.

E possiamo parlare del mondo, e non solo di noi, possiamo parlare di tutto, non solo di me.

E le parole che dicono questo, invischiate nell’ambra, senza rimbombo parlano, sono i puntini neri che opacizzano il colore; il contorno che non è inessenziale.

La selezione dell’amore, la selezione dell’affetto, sono inevitabili e vere, molto più vere delle parole che rimbombano all’infinito, dei gesti sforzati (perché quando siamo gentili lo facciamo solo per noi). Io sto in silenzio, amo molto coloro che vedo, molto meno chi non c’è mai, ed è giusto così.

Amo scavare in profondità.