domenica 7 giugno 2015

Attendere, prego.

In un piccolo campetto incolto davanti a me ho zappato e seminato in quattro diversi quadrati. Non ho ben separato le aree perché in fondo non mi interessava essere così precisa, però ho distinto per bene i semi, in modo che le forse future piantine non si accavallino e non si diano fastidio l’un l’altro, quando saranno grandi. Ho innaffiato. Ho protetto il campetto dal sole. Poi mi sono seduta e ho aspettato. Aspettato. Aspettato. Ancora aspettato…
Mi sono resa conto che le istruzioni della scatola dei semini dicevano solo di portare pazienza e non indicavano, neppure vagamente, la data di presunta crescita di queste meravigliose piantine. E ciò mi ha fatto arrabbiare e innervosire: come faccio a sapere se i semi hanno attecchito oppure no? Come faccio a sapere se ho dato loro acqua sufficiente? E se ne avessi data troppa? E se la pioggia li avesse annegati? E se…e se….
Spesso ero tentata di lasciare perdere la fatica di curare ogni giorno quella muta zolla di terra, non sapendo se fosse semplicemente una stupida perdita tempo. E poi, l’essere umano è un essere impaziente, ha bisogno di vedere… e di sapere…
Di sapere quale sarà la pianta più forte, o quella più bella, o la semina più fruttuosa, di sapere alla fine cosa nascerà…quale sarà il risultato…

Ma per una volta credo che davvero la vita deciderà per me. Io le darà tutte le carte in mano e lei deciderà cosa buttare. Io non so, io non controllo, io aiuto il mio destino ma non lo posseggo, non lo governo e saranno Loro (Lui? Lei? Chissà) a dirmi alla fine che cosa è meglio per me. Quali cure sono state le più efficaci.
Aspetto.
Difficilissima parola.

Io, aspetto.

Il Teatro degli orrori - Direzioni diverse

venerdì 16 gennaio 2015

Quello strano limbo tra i 26 e i 30 anni.


Tu e i tuoi amici avete finito l’università. Chi prima, chi dopo, ma vi siete sparati una dopo l’altra le proclamazioni, le feste di laurea e le bevute di tutti.
Adesso parli solo di una cosa: il lavoro.

Se lo stai cercando, ti lamenti perché non lo trovi. Se stai lavorando, ti lamenti perché fa schifo. Se non fa così schifo, ti lamenti semplicemente perché lavori.
Tra i 26 e i 30 anni tutti prima o poi escono di casa. È l’età dei grandi cambiamenti, che poi così grandi non sembrano. Tu e i tuoi amici finalmente siete andati a vivere da soli. O a convivere. O a dividere l’appartamento con altri non-più-ventenni lavoratori. Libertà! Niente più genitori! Sei diventato grande.

E nel limbo di questa età senza infamia e senza lode, scopri quanto sia maledettamente difficile (e noioso) essere veramente adulti. Eppure, è stata tutta una corsa per arrivare qui: finisci presto la triennale, e poi inizi e finisci la specialistica, e poi corri per trovare un posto che ti faccia lavorare otto ore, e poi corri per trovare una casa, e poi se ti va di lusso trovi anche un partner, e corri con la mente a fare progetti su progetti… Adesso ci siamo, e quindi?

E quindi dal lunedì al venerdì le tue energie vanno sul lavoro. Non importa che sia vicino o lontano, bello o brutto, a turni o fisso: tu sei lì, le tue energie sono lì (perché spesso e volentieri stai ancora imparando e non puoi permetterti di mettere in cervello in pilota automatico) e quando torni a casa, finalmente a casa, hai da fare giusto quelle due o tre cosine casalinghe che puff, improvvisamente fanno arrivare l’ora di cena. Cucini (forse), lavi i piatti, se vivi con qualcuno finalmente ti accorgi della sua presenza fisica e gli racconti la giornata, trovi un modo per rilassarti e spegnere la mente sennò non dormi bene, vai a letto e il giorno dopo ricominci.
E via così.

Nello strano limbo tra i 26 e i 30 anni, dopo le mattane dell’università e prima di quello che potrebbe essere il definitivo cambio di vita tra poppate e pannolini, in questo strano limbo sembra che tutto sia uguale e niente lo è. Ti auto-concentri sempre di più su te stesso, cementando le tue sacrosante abitudini tanto che vedere gli amici è diventato quasi impossibile. Vi state sclerotizzando nella vostra fase di adultità senza volerlo peraltro ammettere:
“Hai ragione dobbiamo proprio vederci e raccontarci un sacco di cose!! Dai!! Io ho tempo domani dalle 19.45 alle 20.20, perché prima devo fare la spesa e dopo ho yoga. Però se vieni tu dalle mie parti è meglio così non mi si scongelano i surgelati.”

Al venerdì sera “qualcosa di tranquillo perché sono stanco morto”. Al sabato sera ti sei un po’ ripreso ma non vuoi fare tardi perché porco cane, passi tutta la settimana tra il lavoro e la casa, alla domenica avrò pur il diritto di fare qualcosa per me (che ne so, una mostra, un giro in un’altra città, una nuotata in piscina…), se mi sveglio alle 10 poi ho perso mezza giornata!
E poi diciamocela tutta. Hai sudato per farti una casina proprio come la vuoi tu, non ci sono più genitori o coinquilini scemi che ti invadono gli spazi… quanto è bello impossessarsi del divano nel weekend? E se vivi in una piccola cittadina di provincia, poi, è da quando hai 15 anni che alla sera vai in birreria a bere qualcosa con gli amici e poi a ballare dove sei già stato centoventicinque volte. Sarà cambiata qualche faccia e sarà cambiata la tua coppia, ma la fase di inquietudine esistenziale in cui dovevi per forza uscire di casa è finita da un nel pezzo.

Nel limbo tra i 26 e i 30 anni siamo in attesa. In costruzione. Una routine dopo l’altra, nella transizione dall’ostinarsi a fare la seratona in giro come un tempo (ed avere la febbre il lunedì) e le domeniche a vedere mobili che sembra la cosa più normale del mondo.
È proprio in questi anni che si divide tanto la vita, di chi ha ancora la possibilità di partire quando vuole con la Ryanair a diciannove euro e novanta facendo la tirata fino alle 6 del mattino, e chi invece programma le partenze intelligenti con la valigia fatta due giorni prima perché non si sa mai.
È proprio in questi anni che si perdono le amicizie per invidia o per lontananza, perché non sei più capace di trovarti una sera qualsiasi ad un qualsiasi orario solo per mangiare una pizza e perderti in chiacchiere.
È proprio in questi anni che non si dovrebbe perdere il senso della vita nei meandri del nostro palazzo in costruzione… E capire che le scelte di uno potrebbero essere un giorno le scelte di tutti… O forse no, e andrebbe comunque bene così.


“Ho imparato che un uomo ha il diritto di guardare un altro dall’alto, solo quando lo aiuta ad alzarsi.” 
Gabriel Garcia Marquez