Scrivere per me è essenziale. È una
specie di valvola di sfogo sempre aperta. Scrivere per me vuol dire
dare voce alle cose più silenziose, quelle nascoste che faticano a
salire.
D'altro canto, scrivere vuol dire anche
riordinare, etichettare, capire.
Un pensiero scritto nero su bianco
diventa un punto fermo.
E un'emozione tradotta in scrittura,
diventa un pensiero.
Posso dire che scrivo – per me stessa
– da sempre. Dal primo diario segreto che
risale alla quinta elementare. Aveva le pagine con le righe e una
foto copertina in bianco e nero. E un lucchetto che non ho mai usato
perché, sbadata come sono, avrei di sicuro perso la chiave.
In realtà non
rispetto neanche la vera natura del diario perché non scrivo tutti i
giorni, e spesso non cito nemmeno i fatti. Però mi piace scrivere la
data (quasi sempre) e un piccolo riferimento (raramente, solo se è
importante).
Così
quando mi perdo nel rileggere le mie vecchie cose, mi ritrovo cose
come “inizio settembre, sulla via per Roma”,
anche se nell'intera pagina non c'è un solo accenno al viaggio.
Io scrivo di
sensazioni che rimangono sulla pelle, scrivo le impressioni che
diventeranno ricordi.
Per questo i miei
scritti-che-diventano-ricordi sono personalissimi, difficili e a
volte anche scorretti, assomigliano più ad un'urgenza che a un
sistema coerente. Per anni e anni sono stati la mia unica valvola di
sfogo.
Poi, però,
ultimamente ci sono anche le cose che scrivo per gli altri,
immaginari o no.
Miriadi
di lettere mai spedite dove tento di comunicare,
smussando gli angoli dell'indecifrabilità. Miriadi di riflessioni
quotidiane che partono da un pensiero da una canzone da un film o una
lettura.
Ultimamente ho
cominciato a sentire l'urgenza di condividere, a volte senza
aspettare nemmeno una risposta, è come se mi dispiacesse lasciare
che tutte le mie parole marciscano nella solitudine. Lasciare marcire
dei pezzi di me.
Scrivere
per un blog soddisfa un po' questo bisogno di esternare e lasciare
andare. Sembra apparentemente
senza senso scrivere se non si hanno lettori, ma per me un senso ce
l'ha. Un senso lo troverà.
In
ultimo ma non ultimo, da alcuni mesi a questa parte scrivo i miei
scritti anche in
spagnolo, per comunicare (per davvero o no) con alcune persone
conosciute in Spagna con cui ho mantenuto un contatto profondo. A
volte usare un'altra lingua, che conosco bene ma certo non ad
altissimi livelli, ha un effetto strano: mi aiuta a tagliare, a
chiarire, a semplificare. Uso espressioni diverse, strani giri di
parole, devo trovare modi più semplici per dire quello che voglio
dire.
Forse anche qui
capiterà qualcosa in spagnolo e mi scuso già in anticipo per gli
errori, le forzature e le stranezze che salteranno agli occhi a chi
conosce la lingua meglio di me.
In fondo è come
usare la lingua del cuore.
Ed
essa, non importa in quale idioma
sia, è sempre un linguaggio inventato.
Questo è il mio preferito...
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