[una vecchia storia che mi aiuta a pensare a come la mia vita si sia magicamente incastrata negli ultimi tempi. Come se trovando tanti piccoli pezzi sparsi del puzzle, avessi finalmente visto il quadro generale. O gli ingranaggi che girano da soli]
Quando lavoravo in Spagna, uno dei miei compiti era
aiutare i ragazzi dai 18 ai 30 anni a diventare, come me,
volontari europei. Tutti
quelli che venivano al
Centro per chiedere informazioni, passavano dalla mia
mini-scrivania per avere depliant informativi e per conoscere una volontaria “in
carne e ossa”.
Nella mia routine, spiegavo come funzionava la
ricerca, davo loro consigli e se serviva correggevo il curriculum in inglese e
cose così. C’è da dire che trovare un progetto
EVS non era affatto facile: io
stessa avevo mandato centinaia di email e lettere di presentazione, per poi
trovare il progetto giusto solo dopo mesi. Era come cercare lavoro, però in un
altro paese…
Un giorno si siede alla mia scrivania una ragazza
di 20-22 anni accompagnata dalla madre.
Entrambe sorridenti, solari, gentili, mi hanno
trasmesso allegria solo a vederle.
Mi chiedono le solite informazioni, io spiego come
funziona il programma, consegno i volantini e poi lascio a loro la parola. La
ragazza mi dice: sai, io avevo già dato un’occhiata su Internet e voglio andare
qui. Come posso fare?
Aveva indicato una comunità per bambini in
una piccola città del Belgio.
Ne è così convinta che a me dispiace disilluderla,
ma la invito a cercare altre opzioni: non sappiamo se quella associazione stia cercando
volontari proprio ora, magari il suo profilo non va bene e magari la
Commissione Europea non approva il progetto.
Lei non si scompone. Mi dice che casualmente la
settimana seguente deve andare a trovare una sua amica che vive a
Bruxelles, e visto che la cittadina non era tanto lontana, avrebbe fatto un
salto lì a portare la sua candidatura. Posso farlo? Mi chiese.
Ma certo! Però ti ripeto, non sempre è possibile
attivare la convenzione… dipende dalla burocrazia, dalle scadenze, bla bla bla.
La madre si schiera timidamente dal mio lato, ma
trasmette quasi più entusiasmo della figlia.
Io consegno loro il materiale, auguro in bocca al
lupo e ci salutiamo.
Come ero solita fare, nei giorni seguenti invio a tutti i ragazzi le
offerte di volontariato sparse per l’Europa e registro anche il suo indirizzo.
Lei non mi risponde mai.
Eppure.
Qualche settimana dopo, la mia responsabile, tra
una chiacchiera e l’altra, mi dice: sai la ragazza tal-dei-tali? (accidenti, non ricordo più il nome...) Quella che è
venuta con la madre e che voleva andare in Belgio? L’hanno presa! Alla prossima
scadenza parte!
Me lo sono fatta ripetere due volte perché non ci
potevo credere.
Avevo almeno una ventina di ragazzi in lista
d’attesa da molto più tempo, che non trovavano uno straccio di progetto… E questa si presenta in Belgio, curriculum in
mano, e riesce a fare esattamente quello
che vuole.
Io il suo sorriso e la sua energia me la ricordo
ancora, a distanza di quasi due anni. E a volte mi chiedo come poi sarà andato
il suo progetto, se si è trovata bene, se ha imparato delle cose…
(Accidenti, ho dimenticato il nome, o avrei potuto
chiedere di lei.)
In fondo credo che.
A volte credere in qualcosa con tutto se stessi
semplicemente serve.
A volte presentarsi con un semplice sorriso alla
vita, semplicemente serve.
E che il primo passo per ottenere quello che
vogliamo è sapere che cosa si vuole.
Inseguendolo, possibilmente, con un curriculum in
una mano e una vagonata di assertività nell’altra.